Che cos’è il cotone organico? In cosa differisce dal cotone normalmente usato? E’ realmente sostenibile? Se si, come mai?
Sicuramente avrai notato un aumento di questo fantomatico “cotone organico” in tantissime proposte di abbigliamento.
Sono moltissime le aziende che, pur di avvicinarsi a un pubblico più attento alle tematiche ambientali, lo inseriscono nella loro gamma proposte di abbigliamento.
Cercherò in questo articolo di fornirti tutte le informazioni in mio possesso cosi da chiarire le idee anche a te.
Che cos’è, dunque, il cotone organico?
La definizione migliore potrebbe essere: “un cotone che viene coltivato seguendo le regole dell’agricoltura biologica e metodi a basso impatto ambientale“.
Mi rendo conto che siamo tornati al punto di partenza e che i tuoi dubbi non si sono del tutto risolti.
Per approfondire cosa siano e in cosa consistano questi “metodi a basso impatto ambientale” bisogna partire dalla base della coltivazione di semi di cotone.
Le piantagioni si distinguono sostanzialmente in due tipologie:
- cotone classico: in cui la produzione deve soddisfare tempistiche rapide e un fabbisogno enorme.
- cotone organico: la cui produzione si svincola dalla logica di tempo e globalizzazione in cui siamo immersi.
Qual è la differenza tra cotone organico e classico? Il tempo!
La fertilizzazione dei terreni destinati alla coltivazione di cotone biologico adotta sistemi di produzione biologica, in totale assenza di pesticidi e fertilizzanti chimici.
Tutto ciò si traduce in una tempistica molto più lunga rispetto alla coltivazione classica. La cura, l’attenzione e il monitoraggio nei confronti della crescita delle sementi avviene grazie all’opera degli agricoltori.
Lo scopo della produzione di cotone organico è la qualità e non la tempistica.
Qualità che viene certificata da organi terzi i quali hanno lo scopo di supervisionare l’intera filiera produttiva, proprio a partire dai semi che non possono essere OGM.
Perchè è cosi utile?
La sua produzione permette di risparmiare fino all’88% di consumo di acqua e fino al 62% di consumo di energia elettrica.
Tiene conto delle condizioni lavorative presenti all’interno delle piantagioni e all’interno degli stabilimento in cui viene filato.
La sostenibilità si traduce quindi sia a livello ambientale sia a livello lavorativo: l’intera filiera produttiva viene dunque seguita e monitorata fino alla spedizione finale.
Chi certifica questa produzione sostenibile?
Le certificazioni relative alla produzione organica del cotone sono varie e di diverso tipo:
Le più efficienti e stringenti sono:
- la Global Organic Textile Standard (GOTS): un’associazione leader mondiale nella definizione dei criteri ambientali e sociali che guidano la produzione e la lavorazione delle fibre organiche, dalla raccolta all’etichettatura del prodotto finito. La GOTS controlla ogni piccolo anello della filiera tessile con l’intento di verificare la totale assenza di sostanze chimiche non conformi ai requisiti base sulla tossicità e sulla biodegradabilità.
- Organic Content Standard OCS è una certificazione tessile garante dell’origine biologica (organica) di una fibra tessile. Questo modello di certificazione è applicabile esclusivamente a tessuti naturali (di origine vegetale o animale), e in particolar modo al cotone biologico, sicuramente la fibra di origine biologica più diffusa nel settore tessile.
- Fair Wear Foundation è un’organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che si impegna a migliorare le condizioni di lavoro nell’industria tessile. Verifica che le aziende associate implementino il codice di condotta del lavoro lungo la loro catena di fornitura e ne attesta la conformità monitorando gli audit e gli sforzi di riparazione, promuovendo la trasparenza a tutti i livelli.
L’etichetta BCI
Discorso a parte merita invece la BCI, la better cotton initiative: rimane l’etichetta più diffusa ma non si tratta i una vera e propria certificazione.
I capi contenenti l’etichetta BCI contengono cotone le cui fibre derivano da agricoltura biologica. I produttori devono superare dei criteri per ottenere la licenza BCI ma non si applica nessun rigido controllo all’interno della filiera.
Non segue il prodotto dalla coltivazione al capo finito ma si limita a controllare la materia prima e si ottiene mediante un bilancio di massa aziendale non riconducibile a tutti i passaggi della filiera.
Quando troviamo un capo con etichetta BCI sappiamo che il cotone organico utilizzato è stato mescolato al cotone tradizionale e ciò permette di mantenere i costi più bassi rispetto alle due certificazioni GOTS e FAIR WEAR.
Conclusioni
Spero di esserti stato utile e di aver chiarito nel migliore dei modi alcuni concetti che stanno dietro all’agricoltura e all’industria del cotone.
Se desideri chiarire altri dubbi non esitare a contattarci via mail, Whatsapp o nella nostra pagina Instagram.